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Intervista a Masaru Miura, maestro di karate da oltre mezzo secolo
"Non ero destinato a perfezionare il karate e a diffonderlo in tutto il mondo: per me è stata una
missione."
Queste le parole del maestro Masaru Miura, il quale, con mio grande stupore, ha un fisico più sottile
e una statura meno imponente di quello che mi aspettavo da un esperto di arti marziali.
Mi racconta che iniziò a praticare il karate fra i dodici e i tredici anni, e che al liceo conobbe il
maestro Masatoshi Nakayama. All'epoca non era interessato ad andare all'università, ma avendo
visto per caso il maestro Nakayama combattere in gara, e avendo scoperto che insegnava karate in
un'università, decise di iscriversi lì, iniziando subito a studiare per superare l'esame di ammissione.
Dopo la laurea tornò a Shizuoka, la sua città natale, e iniziò a lavorare, trovandosi tuttavia in
contrasto coi suoi colleghi. Un giorno andò a far visita al maestro Nakayama nella sua casa di
Tokyo, e in quell'occasione scoprì che alcuni dei suoi compagni di karate stavano per recarsi
all'estero. Il maestro Nakayama gli chiese se anche lui voleva partire, e il maestro Miura gli rispose
di sì senza esitazione. Era il 1964 e il maestro Miura aveva 25 anni.
Iniziò a girare per l'Europa per conoscere un po' il mondo, e quando l'anno dopo giunse in Italia gli
erano rimasti ormai pochi soldi. Ma il giovane Miura era un tipo stoico. Non si preoccupò
minimamente, pensando che la situazione non poteva peggiorare, perché ormai aveva toccato il
fondo. A Torino trovò un bunker vicino a una fabbrica della Fiat, e lì si fermò a dormire per dei
giorni. "Ho patito molto il freddo in quei giorni." mi dice sorridendo.
Fece poi amicizia con un maestro giapponese di judo, il quale lo ospitò a casa sua. In seguito un
uomo che lo aveva visto allenarsi gli disse che voleva che gli insegnasse il karate. L'uomo, che
guidava una Cinquecento, lo ricompensò per le lezioni, ma quei soldi bastavano unicamente per
comprare del pane secco. Il maestro Miura ancora rammenta il sapore di quel pane, che mangiò
bagnandolo con acqua di fontana. Avrebbe dovuto aspettare gli anni 70 affinché i dojo italiani di
karate si affollassero di allievi influenzati dai film di arti marziali.
In Piemonte passò un periodo difficile in cui diverse persone lo sfruttarono per fondare dei dojo, per
poi cacciarlo appena i dojo si riempivano di allievi. In seguito riuscì finalmente a fondare un
proprio dojo a Torino, dove fu felice di ritrovare i suoi vecchi allievi. La stima che i suoi allievi
nutrono in lui deriva non soltanto dalla sua personalità ma decisamente dal suo karate.
Il maestro Miura mi racconta di un'esperienza trascendentale, che definisce un dono divino. In
principio dopo aver affrontato dei forti allievi gli si gonfiavano le mani per lo sforzo, tanto che il
giorno seguente non riusciva a tenere in mano le posate, ma di punto in bianco ebbe
un'illuminazione e sentì che il suo corpo era divenuto libero. Le sue braccia e le sue gambe
cominciarono a muoversi da sole, mandando facilmente al tappeto anche gli allievi più grossi.
In altre parole ora il maestro non usa né la velocità né la forza, che prima considerava elementi
fondamentali del karate, bensì combatte sfruttando solo movimenti impercettibili. Così facendo,
nonostante il fisico minuto, riesce a sconfiggere persino avversari imponenti e muscolosi. Dopo
lunghe ricerche è giunto alla conclusione che è questa l'essenza dell'arte marziale di Okinawa.
Secondo il maestro per illustrarne i principi è necessaria una capacità analitica fisica, motoria e
fisiologica. Per esempio, se il maestro appoggia i palmi sul corpo di un avversario, all'apparenza i
palmi sembrano comportarsi allo stesso modo, invece uno è solamente appoggiato, mentre l'altro
spinge. Una dinamica di questo genere, ovvero il cosiddetto karate immobile, non può essere
compresa tramite l'osservazione, proprio perché manca di movimenti ampi. L'avversario riesce a
capire la natura di queste tecniche soltanto quando la sperimenta sulla propria pelle durante il
kumite. Ecco perché il maestro Miura riceve richieste di insegnamento dai dojo di tutto il mondo,
curiosi di conoscere i meccanismi della sua arte.
Mentre il maestro Miura era in giro per il mondo a insegnare, ho fatto visita all'Honbu Dojo di
Milano, ereditato dai suoi allievi diretti. Vi si tengono lezioni di karate due volte alla settimana, ed è
frequentato da circa quaranta allievi: bambini, principianti e cinture nere. Le lezioni sono
organizzate a seconda del livello di preparazione.
Grazia Russo, un'allieva diretta del maestro Miura e una delle amministratrici del dojo, mi racconta
che il karate non è un semplice sport, bensì un'arte marziale, ovvero una disciplina. L'insegnamento
del maestro Miura è estremamente ampio perché non riguarda soltanto il karate, ma la cultura
giapponese e la vita in generale. La maestra Russo mi ha raccontato che una volta il maestro Miura
le ha addirittura consigliato un testo scientifico.
"Il maestro Miura è un uomo di poche parole, ma capisce al volo ogni cosa che penso e che vorrei
dire, nonostante io non abbia ancora capito tutto ciò che mi ha detto." dice la maestra Russo.
In ogni caso una veloce visita al dojo mi è bastata per capire che l'insegnamento del maestro Miura
è attecchito qui in Italia e ha dato ottimi risultati.
"All'inizio mi dava fastidio il carattere superficiale degli italiani, ma dopo un po' ho capito che
possono essere anche seri, e che ciò dipende da come vengono guidati. Oggi sono molto orgoglioso
dei miei allievi." dice il maestro Miura.
Secondo il maestro Miura, ciò che il Giappone e l'Italia hanno in comune è l'umanità. Mi racconta
con un sorriso che forse gli italiani sono più umani dei giapponesi, fin troppo, e che a volte la loro
umanità si trasforma in egoismo e in corruzione. In effetti il maestro confessa che nei primi periodi
c'erano degli allievi che gli portavano dei doni per avere in cambio una cintura, ma che hanno
smesso di farlo dopo aver capito che non serviva.
Conclude l'intervista dicendo: "Noi maestri di arti marziali siamo stati i primi a trasmettere la
cultura giapponese in Europa. Vorrei che il governo giapponese avesse più a cuore le arti
marziali."
Questo l'appello del karateka che ha faticosamente diffuso la cultura giapponese in Italia.
Didascalia della prima foto: Il maestro Miura a 33 anni nel 1972. A destra la sua allieva Mara
Bergantin, oggi un'esponente di rilievo del karate italiano.
Didascalia della seconda foto: Il maestro Miura in karategi seduto in meditazione.
Didascalia della terza foto: La maestra Grazia durante una lezione coi bambini.
Intervista ed articolo a cura di FUMIE MOCHIMARU
Tratto dal numero 147 della rivista Cronaca, autunno 2015
(Traduzione dal giapponese di Wakako Hirabuki)
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